CHIMICA VERDE, CHE COS’È E SU QUALI PRINCIPI SI FONDA?
- 26 Settembre 2025
- Posted by: fiber-admin
- Categoria: FiberOpticItalia
Il Green New Deal europeo ha fissato un obiettivo ambizioso per il 2050: la decarbonizzazione del Vecchio Continente. Se si tiene conto che ancora oggi gran parte dell’energia in Europa viene prodotta attraverso combustibili fossili, l’impresa sembra essere alquanto ardua. In questo processo di cambiamento si punterà molto sulla chimica verde, detta anche chimica sostenibile. Di che cosa si tratta?
È una disciplina scientifica e tecnologica che mira a conciliare progresso industriale, tutela dell’ambiente e benessere delle persone. In che modo?
Cos’è la chimica verde?
La chimica verde può essere definita come la progettazione di processi e prodotti chimici in grado di ridurre o eliminare l’uso e la produzione di sostanze pericolose. È una vera e propria filosofia trasversale che si applica a tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto, a partire dalla sua ideazione fino ad arrivare alla fase di smaltimento e riciclo.
In altre parole, la chimica verde non agisce soltanto sugli effetti, ma interviene a monte del problema, progettando materiali e tecnologie che siano intrinsecamente più sicuri, efficienti e rispettosi dell’ambiente.
Chi ha inventato la chimica sostenibile?
L’idea di utilizzare risorse naturali al posto delle fonti fossili non è nuova. Già negli anni ’30 negli Stati Uniti si sviluppò il movimento della chemiurgia, che proponeva di integrare l’industria chimica con materie prime agricole, promuovendo l’impiego di biomasse e derivati vegetali.
Tuttavia, fu solo negli anni ’90 che il concetto prese forma definitiva grazie a Paul Anastas e John Warner, due ricercatori dell’EPA (Environmental Protection Agency), che codificarono i principi fondanti della chimica verde.
Le elaborazioni dei due studiosi si svilupparono in un contesto che acquisiva una maggiore consapevolezza della crisi ambientale e della necessità di intervenire al più presto per invertire la rotta. Proprio in quegli anni venne elaborato il Rapporto Brundtland (1987), che introdusse per la prima volta il concetto di sviluppo sostenibile. Cinque anni più tardi, nel 1992, ebbe invece luogo la prima Conferenza internazionale sul Clima a Rio De Janeiro.
Da allora, la chimica verde si è imposta come uno strumento imprescindibile nella lotta al cambiamento climatico, alla scarsità di risorse e all’inquinamento diffuso.
Quali sono i principi formulati da Paul Anastas e John Warner?
I dodici principi formulati da Paul Anastas e John Warner costituiscono la base teorica e pratica della chimica verde. Non sono semplici regole astratte, ma linee guida operative che indicano come progettare processi e prodotti più sicuri e rispettosi dell’ambiente.
1. Prevenzione dei rifiuti
Il primo principio è quello di ridurre al minimo la produzione dei rifiuti, in quanto il loro successivo trattamento risulta tanto complesso quanto dispendioso. Un esempio concreto dell’applicazione di tale concetto è la progettazione di reazioni selettive che riducono la formazione di sottoprodotti indesiderati.
2. Economia atomica
I processi chimici devono massimizzare l’uso delle materie prime, incorporando la maggior parte degli atomi nel prodotto finale. In farmacologia, ad esempio, una sintesi ad alta economia atomica permette di ottenere una molecola attiva senza generare grandi quantità di residui inutili.
3. Sintesi meno pericolose
I metodi di sintesi devono ridurre la tossicità per la salute e l’ambiente. Un esempio è la sostituzione di reagenti clorurati, spesso dannosi, con alternative meno impattanti che garantiscono comunque l’efficienza della reazione.
4. Prodotti chimici più sicuri
Le sostanze progettate devono svolgere la loro funzione senza essere nocive. In agricoltura, ciò significa sviluppare pesticidi biodegradabili che proteggono le colture senza accumularsi nel suolo o nelle acque.
5. Solventi e ausiliari verdi
I solventi, spesso inquinanti e difficili da smaltire, dovrebbero essere evitati o sostituiti con opzioni più sostenibili. L’acqua, ad esempio, può essere usata in molte reazioni come solvente alternativo, sostituendo composti organici clorurati altamente tossici.
6. Efficienza energetica
Le reazioni chimiche dovrebbero svolgersi a condizioni di temperatura e pressione ambiente per ridurre i consumi. Un catalizzatore che permette di abbassare drasticamente la temperatura di reazione è un’applicazione tipica di questo principio.
7. Uso di materie prime rinnovabili
Dove possibile, le fonti fossili devono essere sostituite con risorse rigenerabili. È il caso delle bioplastiche, prodotte a partire da scarti agricoli come mais o canna da zucchero, in alternativa ai polimeri derivati dal petrolio.
8. Riduzione delle derivatizzazioni
Ogni passaggio intermedio aggiuntivo comporta sprechi e consumo di reagenti. Meglio quindi progettare reazioni dirette che portino al prodotto finale senza dover aggiungere gruppi protettivi o altre modifiche temporanee. Un processo più lineare riduce i costi e gli scarti.
9. Catalisi
I catalizzatori sono preferibili ai reagenti convenzionali perché rendono i processi più efficienti e selettivi. Gli enzimi, ad esempio, possono accelerare reazioni chimiche in condizioni miti, riducendo l’uso di energia e solventi pericolosi.
10. Design per il degrado
Un prodotto chimico deve essere pensato per degradarsi in composti innocui una volta terminata la sua funzione. Le bioplastiche che si trasformano in acqua e anidride carbonica al termine del loro ciclo di vita sono un esempio concreto di applicazione di questo principio.
11. Analisi in tempo reale
Monitorare i processi chimici mentre avvengono consente di prevenire la formazione di sostanze pericolose. Sensori e tecniche di controllo avanzate, oggi sempre più diffusi, permettono di intervenire immediatamente in caso di deviazioni indesiderate.
12. Sicurezza intrinseca
Le sostanze e i processi devono essere progettati in modo da ridurre al minimo il rischio di incidenti, esplosioni o fughe tossiche. Un caso concreto è la sostituzione di gas altamente infiammabili con alternative più stabili, mantenendo la stessa efficacia produttiva ma aumentando la sicurezza.
In quali settori viene sfruttata la chimica verde?
I settori che sfruttano le potenzialità della chimica verde sono numerosi: si passa dall’agricoltura alle bioplastiche, dal settore farmaceutico all’elettronica.
Non ci resta quindi che osservare come la chimica sostenibile sta cambiando gli ambiti produttivi appena citati.
Agricoltura
Uno degli ambiti più sensibili è quello agricolo. La chimica verde lavora alla sostituzione dei pesticidi tradizionali, spesso tossici e persistenti, con fitofarmaci biodegradabili e meno impattanti.
Anche la produzione di fertilizzanti è oggetto di innovazione: ad esempio, alcune tecnologie recuperano e valorizzano la CO₂ emessa nella sintesi dell’urea, riducendo così le emissioni di gas serra.
Bioplastiche
Le bioplastiche sono un esempio ormai diffuso di applicazione pratica. Prodotte da biomasse come mais, canna da zucchero, patate dolci o alghe, rappresentano un’alternativa alle plastiche petrolchimiche. Sono biodegradabili e, in alcuni casi, addirittura compostabili.
Biolubrificanti
Un capitolo di grande interesse riguarda i biolubrificanti, ottenuti da oli vegetali e grassi animali. Rispetto ai lubrificanti di origine fossile, sono biodegradabili, meno tossici e compatibili con numerosi settori industriali: trasporti, metallurgia, industria tessile, estrattiva e alimentare.
Oltre ad essere sostenibili offrono prestazioni tecniche simili a quelle dei prodotti convenzionali.
Industria farmaceutica
La ricerca in campo farmaceutico sta adottando la chimica sostenibile per sviluppare biocatalizzatori, in grado di rendere la sintesi dei medicinali più efficiente e meno inquinante. Tale approccio green riduce la produzione di sottoprodotti tossici e migliora la sicurezza delle molecole finali.
Elettronica e microchip
La produzione di componenti elettroniche richiede enormi quantità di acqua, energia e sostanze chimiche. Grazie alla chimica verde, si stanno sviluppando nuovi materiali, come proteine e catalizzatori biologici, capaci di migliorare le prestazioni dei chip e ridurre l’impatto ambientale della loro fabbricazione.
I pro e i contro della chimica verde
La chimica verde offre indubbi vantaggi, ma non è priva di ostacoli. Come abbiamo notato fin qui, il suo principale contributo è la capacità di ridurre l’impatto ambientale dei processi industriali: meno emissioni, minore consumo di acqua ed energia e prodotti progettati per degradarsi in composti innocui.
Dal punto di vista economico, la green chemistry influisce anche sui costi operativi riducendoli e aprendo nuove opportunità di mercato, basti pensare alle bioplastiche e ai biolubrificanti.
Tuttavia, i tanti aspetti positivi si accompagnano a sfide non trascurabili. Infatti, non è così semplice sostituire le fonti fossili con le risorse rinnovabili. Quest’ultime hanno i loro tempi di rigenerazione naturale che vanno assolutamente rispettati. Di conseguenza, è doveroso progettare un futuro caratterizzato da produzioni meno ingenti che sposino appieno il concetto di sostenibilità.
Allo stesso modo, la riconversione degli impianti industriali richiede investimenti ingenti e competenze specifiche, che non tutte le aziende sono pronte a sostenere. Un ulteriore nodo riguarda il mercato: affinché i prodotti green possano diffondersi davvero, devono essere non solo ecologici, ma anche competitivi in termini di prezzo e prestazioni.
Il contributo degli endoscopi alla sostenibilità
L’undicesimo principio formulato da Paul Anastas e John Warner, ovvero quello sul monitoraggio costante, si ritrova perfettamente nelle funzionalità degli endoscopi industriali. Questi sono ottimi alleati nelle operazioni di manutenzione predittiva degli impianti industriali, ovvero tutte quelle attività volte a monitorare il funzionamento dei componenti e a rivelare anomalie prima che si possano trasformare in difetti, o peggio ancora, danni.
Le attività predittive delle sonde abbracciano anche il principio di efficienza energetica e sicurezza della chimica verde: meno guasti significa meno fermi produttivi e meno possibilità di incidenti potenzialmente pericolosi per l’ambiente circostante.
Inoltre, gli endoscopi industriali consentono di eseguire valutazioni non invasive di siti contaminati, misurando pH, temperatura, ossigeno disciolto e identificando le possibili fonti di inquinamento.
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