COME FUNZIONA IL SISTEMA CLEANING IN PLACE (CIP) NEL SETTORE ALIMENTARE?

Nell’industria alimentare è di vitale importanza rispettare tutti gli standard igienici per evitare pericolose contaminazioni batteriologiche. Uno dei metodi più efficaci per ridurre tali rischi lungo le catene produttive è il cosiddetto sistema di Cleaning in Place (CIP). 

Si tratta di un metodo di sanificazione unico nel suo genere. Nelle prossime righe osserveremo il suo funzionamento ed ovviamente tutti i benefici che è in grado di apportare contro le minacce alimentari.

Che cos’è il sistema Cleaning-in-place (CIP)?

Come già accennato, il Cleaning In Place (CIP) è un metodo di sanificazione automatizzata che permette di lavare e disinfettare l’interno di apparecchiature industriali — come serbatoi, tubazioni, filtri e valvole — senza doverle smontare.

L’introduzione di tale tecnologia risale agli anni ’50 ed ha a dir poco rivoluzionato le pratiche industriali nel settore alimentare. Infatti, grazie alla sua adattabilità il CIP ha drasticamente ridotto i tempi di inattività delle linee durante le operazioni di sanificazione ed ha aumentato la sicurezza e la qualità del prodotto finale.

Inoltre, va sottolineato che il sistema di Cleaning in Place è imprescindibile non solo nel settore alimentare, ma anche in quello farmaceutico, cosmetico e delle bevande. Quindi, come funziona il CIP?

I rischi di contaminazione nel settore alimentare

Prima di addentrarci nelle varie fasi che caratterizzano il funzionamento del Cleaning in Place, ripassiamo le potenziali minacce presenti nelle catene produttive alimentari. Il rischio più grande è ovviamente la contaminazione da parte di microrganismi, in grado di compromettere le caratteristiche organolettiche dei prodotti e rendere gli alimenti potenzialmente pericolosi per la salute dei consumatori finali.

Proviamo quindi a stilare una lista dei principali microrganismi presenti in questi impianti.

Batteri lattici (LAB)

I batteri lattici (Lactic Acid Bacteria – LAB), come i Lactobacillus e i Pediococcus, sono microrganismi, che si trovano naturalmente in molte materie prime, come il malto d’orzo, il melasso o l’uva.
In alcuni contesti, come la produzione di whisky o rum, una minima presenza di LAB è tollerata o addirittura desiderata per la generazione di aromi caratteristici. Tuttavia, un’eccessiva concentrazione può:

  • abbassare drasticamente il pH della fermentazione;
  • rallentare o bloccare i processi fermentativi;
  • compromettere la resa alcolica;
  • generare sapori e odori sgradevoli.

Enterobatteri 

Gli enterobatteri, come l’escherichia coli o la salmonella si sviluppano attraverso le fonti idriche e possono contaminare anche gli impianti e le materie prime utilizzate al loro interno.
 
Nonostante tali microrganismi non sopravvivano a lungo in ambienti altamente alcolici o acidi, la loro presenza transitoria può:

  • generare metaboliti maleodoranti;
  • degradare la qualità organolettica dei prodotti;
  • costituire un grave rischio per la sicurezza alimentare.

Lieviti selvaggi

I lieviti non controllati, soprannominati “wild yeasts” rappresentano una seria minaccia soprattutto nei processi fermentativi. Questi possono:

  • alterare profili aromatici attesi;
  • ridurre la resa in zuccheri/alcol;
  • produrre metaboliti tossici o indesiderati.

Le contaminazioni da lieviti sono particolarmente temute nelle produzioni vinicole e birrarie per gli aromi anomali che possono conferire, come ad esempio i sentori di muffa.

Batteri acetici

I batteri acetici, come l’Acetobacter e il Gluconobacter sono responsabili dell’ossidazione dell’etanolo e della sua trasformazione in acido acetico. Il processo genera l’acidificazione indesiderata di vini, birre e distillati mettendo in serio pericolo la commercializzazione di interi lotti produttivi.

Formazione di biofilm

Una delle minacce più insidiose è la formazione di biofilm, ovvero una sorta di patina carica di microrganismi che aderisce alle superfici di impianti e tubazioni.

Il biofilm è particolarmente problematico in quanto:

  • resiste a trattamenti chimici standard;
  • agisce come serbatoio di agenti patogeni;
  • può rilasciare microrganismi nel prodotto finito in modo intermittente.

Come funziona il sistema CIP?

Nei precedenti paragrafi abbiamo individuato i nemici degli impianti del settore alimentare. Quindi, come proteggere le linee produttive dalle possibili contaminazioni?

Il sistema Cleaning in Place si fonda su quattro pilastri, che vengono definiti “cerchio di Sinner”, dal nome di Herbert Sinner, il chimico che nel 1959 gettò le basi delle moderne tecniche di pulizia industriale.

Il suo teorema si basa su 4 principi dai quali dipende l’efficacia della pulizia all’interno di un contesto produttivo:

  • azione meccanica: utile per rimuovere le impurità dalle superfici dell’impianto. Nel sistema Cip avviene tramite flussi turbolenti e spruzzi ad alta pressione;
  • azione chimica: l’applicazione di detergenti consente di dissolvere grassi, proteine, zuccheri e residui minerali;
  • temperatura: il mantenimento di alte gradazioni durante le operazioni di pulizia facilita le reazioni di disgregazione e dissoluzione dello sporco;
  • tempo: più a lungo le superfici restano esposte all’azione combinata di detergenti, temperatura e movimento meccanico, maggiore sarà l’efficacia della pulizia.

Le fasi del ciclo CIP

A questo punto non ci resta che osservare le diverse fasi del ciclo di pulizia Cleaning in Place, ognuna delle quali risulta fondamentale per assicurare la rimozione dei residui di diversa natura ed escludere al 100% la possibilità di contaminazioni.

1. Prelavaggio

Il ciclo inizia con un prelavaggio ad acqua, il cui obiettivo principale è quello di rimuovere lo sporco grossolano ed ammorbidire i depositi incrostati favorendone l’eliminazione nella fase successiva.

Il prelavaggio può avvenire con acqua fresca o riciclata direttamente dai cicli produttivi.

2. Lavaggio alcalino

Si prosegue con il lavaggio chimico alcalino, il quale agisce su grassi, proteine, zuccheri e materiale organico aderente alle superfici. L’utilizzo dei detergenti è essenziale anche per disgregare i biofilm batterici nelle prime fasi di formazione.

Le soluzioni chimiche vengono pompate attraverso le tubazioni e spruzzate all’interno di serbatoi mediante appositi ugelli rotanti o sfere spray statiche. Vengono realizzate solitamente a base di idrossido di sodio (NaOH) ed in alcuni casi potenziate con additivi tensioattivi, utili a contrastare la formazione del calcare.

3. Risciacquo intermedio

Una volta terminato il lavaggio alcalino si effettua un nuovo risciacquo con acqua demineralizzata, al fine di rimuovere ogni traccia di detergente e prevenire reazioni chimiche indesiderate nelle fasi successive del ciclo di pulizia CIP.

4. Lavaggio acido

Non viene applicato in tutti gli impianti. In questa fase vengono nuovamente introdotti nei condotti agenti acidi, in particolare l’acido nitrico e fosforico, necessari per rimuovere i residui più tenaci.

5. Disinfezione o sterilizzazione

Per ridurre la carica batterica ed adeguarsi alle normative in materia di contaminazione alimentare, entra in gioco la disinfezione chimica e la sterilizzazione.

Nella prima fattispecie viene eliminata la presenza dei batteri attraverso l’uso di agenti come perossido di idrogeno, acido peracetico o cloroderivati. Invece, per quanto riguarda la sterilizzazione termica, si procede mettendo in circolo nei condotti degli impianti acqua calda e vapore con temperature superiori agli 80°C per un tempo definito.

6. Risciacquo finale

Il risciacquo finale serve ad eliminare ogni possibile residuo di detergente o disinfettanti adoperato negli step precedenti. Così facendo si ripristinano condizioni neutre e conformi alle normative riguardanti gli stabilimenti di produzione alimentare.

7. Asciugatura

In alcune produzioni, il processo CIP si conclude con un’asciugatura tramite:

  • soffiaggio di aria sterile e filtrata<,
  • circolazione di gas inerti, come l’azoto, per evitare la formazione di condensa interna.

Questa fase è prescritta in tutti quegli impianti che necessitano di rimanere asciutti tra la produzione di un lotto e l’altro.

Il supporto dell’endoscopia industriale nei sistemi di pulizia CIP

I sistemi Cleaning in Place hanno indubbiamente rivoluzionato la sanificazione degli impianti industriali nel settore alimentare. Tuttavia, come verificare se i getti ad alta pressione ed i vari detergenti hanno rimosso alla perfezione tutti i residui prodotti da ogni ciclo produttivo?

L’endoscopia industriale viene ancora una volta in nostro aiuto! 

È necessario però fare una premessa. Dal momento che si opera in contesti ad alto rischio di contaminazione è importantissimo sanificare anche gli endoscopi prima di qualunque ispezione. Solo dopo questo passaggio sarà possibile introdurli nei condotti degli impianti.

I videoscopi permettono agli operatori di effettuare controlli rapidi, in quanto possono ottenere un riscontro visivo immediato sullo stato di pulizia degli impianti e decidere così di intervenire immediatamente, senza attendere risultati di laboratorio o analisi chimiche.

Inoltre, le sonde di piccolo diametro degli endoscopi flessibili possono penetrare in condotte strette, valvole e serpentine. Grazie ai sistemi ottici di ultima generazione applicati ai prodotti proposti da Fiber Optic è possibile ottenere immagini in alta risoluzione, che verranno sfruttate per documentare le ispezioni e creare report periodici per valutare la sicurezza e il rispetto delle procedure HACCP dell’impianto sul lungo periodo.

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